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Il Buccicaldo.


Articolo n. 76 - Pubblicato su "La Provincia di Alessandria" del Gennaio-Febbraio 1983
(Rielaborazione del precedente articolo di cui al n. 43)

 Buccicaldo "MCCCCIII - Gabriele Guasco, che mal sopportava la perduta libertà della patria, stipulata un'alleanza con Buccicaldo, Legato e Prefetto del Re di Francia nella città di Genova, il 12 settembre consegnava la città stessa di Alessandria al suddetto Buccicaldo, che ne rimase padrone per ventidue giorni. La città venne riconquistata da Facino Cane, condottiero casalese al servizio del Duca di Milano Filippo Maria Visconti. Facino Cane, raggiungendo in tre giorni Alessandria da Bologna dove trovavasi, entrò nottetempo nella città, fatto passare fraudolentemente attraverso la cittadella da alcuni cittadini contrari ai Guasco e favorevoli al Duca di Milano. Fatta irruzione in Alessandria con 600 cavalieri suoi e molti alessandrini che nutrivano violenti rancori nei confronti dei Guasco, comandò che molti di questi ultimi fossero messi a morte. I rimanenti fautori dei Guasco e molti altri cittadini furono esiliati e, per una seconda volta, molti armati furono mandati contro la cittadella che, malgrado tutto, resisteva ancora. La roccaforte fu egregiamente difesa dai cittadini aiutati in questo da molta gente del contado circostante. Ma i difensori, sapendo che nei depositi vi era scarsità di cibo e vettovaglie, ne fecero uscire le donne che vi si erano rifugiate affinchè i vettovagliamenti riuscissero bastanti ai soldati che la difendevano. Fortunatamente gli abitanti di Bosco riuscirono a portare nottetempo all'interno della rocca una grande quantità di farina e di frumento.  Buccicaldo Rinfrancati da tale aiuto gli assediati riuscirono a resistere fino al 21 settembre, cioè fino a che il Facino Cane con i suoi avventurieri riuscì ad espugnarla. Molti dei difensori furono uccisi, i più furono costretti a riscattare la loro libertà pagando ingenti somme di denaro; grande fu la sete di saccheggio della soldataglia. Borgoglio si difendeva strenuamente con le armi, ma essendo investita da forze troppo superiori, capitolò il 26 settembre. In questa guerra rifulse grandemente la forza di Gabriele Guasco che, in nome del Re di Francia e sostenuto dal Buccicaldo, difese Alessandria e Borgoglio con straordinaria forza ed impegno fino all'ultimo. In seguito molti abbandonarono la patria, trasferendosi altrove, alcuni nella città di Asti, altri cercando rifugio nel Monferrato. I Borgogliesi furono costretti a riscattare la loro libertà dietro pagamento di 22000 fiorini d'oro. E di questo riscatto ne fu implacabile esattore il feroce ed iracondo Pietro Curzio di Pavia. E, quasi questi mali non fossero bastanti, Pavesi, Casalesi e Valenzani calarono in Alessandria per acquistare dalle soldatesche i beni saccheggiati, facendo poi ritorno alle loro città attraverso il fiume Tanaro che era in piena, dopo avere impoverito Alessandria al punto che questa dovette immensamente soffrire per il ferro, per la fame e la mancanza di ogni cosa. La città venne spogliata di tutti i beni e distrutta da un incendio durato otto giorni consecutivi, nonchè da una strage durata dal giorno di S. Matteo fino al 29 settembre. Molte abitazioni di cittadini furono rase al suolo. Il Capitano Gabriele Guasco, abbandonata Alessandria, si rifugiò in Asti. Nello stesso anno, il 21 di settembre, Facino Cane faceva riportare in Casale le reliquie e le spoglie mortali dei santi Evasio e Natale, che furono ricevute con grandissima pompa e sfarzo, e le fece riporre nei luoghi dove prima riposavano. Queste reliquie, infatti, erano state sottratte a Casale dagli Alessandrini 188 anni prima, cioè nel 1215.".
 Buccicaldo La nostra modesta traduzione, pur nella stesura più accurata ed interpretativa, non riesce a poter rendere efficace e quasi visiva al lettore l'immediatezza e la drammaticità degli avvenimenti esposti in questo brano di cronaca alessandrina che l'autore, con il suo latino pur non classico, ci descrive con un'incisività veramente enorme.
La cronaca ha la sua collocazione storica nel pieno delle lotte fratricide tra le opposte fazioni cittadine da un lato ed i tentativi egemonici del Re di Francia e dei Duchi di Milano dall'altro per imporre la loro supremazia ed il loro imperio sui liberi Comuni italiani. Le versioni di questa pagina di storia nostrana sono molteplici, tutte imprecise, lacunose e, in qualche caso, anche errate di data. Questa, che abbiamo riportata e tradotta piùsopra è forse la più completa e particolareggiata ma, anch'essa, come tutte le altre, siano esse in latino od in volgare, si limita ai fatti senza porre in luce i personaggi, salvo quelli più localmente conosciuti e lasciando in ombra gli altri, che sono anch'essi protagonisti e meritevoli, nel bene e nel male, di essere ricordati.
 Buccicaldo Uno di questi, il sostenitore di Gabriele Guasco in questo episodio, è il cosidetto "Buccicaldo", che quasi tutti gli scrittori del tempo ben difficilmente indicano con il suo vero nome, dicendoci al massimo che era il rappresentante in Genova, e potremmo dire anche in buona parte dell' Italia, del Re di Francia Carlo VI. "Il Buccicaldo": con questa volgarizzazione del suo predicato nobiliare "De Boucicaut", è ancora tradizionalmente ricordato nelle nostre terre Jean Le Meingre, Conte di Beaufort, Visconte di Turenna, Maresciallo di Francia e Governatore di Genova dal 1401 al 1409. E' d'uopo sottolineare che la volgarizzazione è, evidentemente, spregiativa in quanto le popolazioni, e particolarmente quelle del genovesato di quei tempi, vedevano in lui, rappresentante di un monarca straniero, più l'oppressore che l'amministratore della cosa pubblica. Che Jean Le Meingre abbia oppresso veramente il popolo genovese è cosa alquanto discutibile. Era certamente un uomo del suo tempo: un soldato più atto a fare la guerra che a governare; un uomo che doveva agire a seconda delle contingenze del momento, che doveva necessariamente barcamenarsi tra le fazioni che, all'interno della Repubblica Genovese, cercavano di sopraffarsi l'una contro l'altra; un guerriero che doveva accorrere in armi ogni momento per parare i colpi di mano che i Milanesi, i Marchesi di Monferrato e Facino Cane, loro alleato, tentavano ai confini della Repubblica per impadronirsi dei suoi territori. Ed oltre tutto questo, era altresì impegnato a salvaguardare gli interessi genovesi nei possedimenti d'oltremare.  Buccicaldo I cronisti suoi contemporanei non gli si dimostrarono certo favorevoli ma gli storici, più tardi, analizzandone l'opera ed il comportamento in base ai documenti e con mente più serena e spassionata, poterono, se non riabilitarlo del tutto, restituirgli almeno quella dignità umana, politica ed amministrativa che non gli era certo mancata.
L'asservimento di Genova alla Francia era avvenuto nel tardo 1396 quando il Doge Antoniotto Adorno, forzato dalle sollevazioni e dai tumulti popolari, aveva richiesto ed ottenuto l'appoggio di Carlo VI, Sovrano di quella nazione. Lo stesso Doge aveva assunto il titolo di Governatore, che tenne per pochi mesi, rimettendolo poi, nel 1397, nelle mani di Valerando di Lussemburgo, Conte di S. Paolo e di Ligny. Questi, richiamato in Francia nel 1398, fu sostituito da Collardo di Colleville, che assunse la carica nel 1399. Entrambi questi due primi governatori francesi di Genova lasciarono ben poca traccia del loro operato. Le cronache del tempo ne ricordano i nomi perchè essi sono legati, più che altro, alla peste che devastò Genova in quegli anni ed alle rivolte popolari che ne causarono la destituzione. Jean Le Meingre, che assunse la carica nel 1401, era tutt'altra tempra d'uomo. Nato a Tours nel 1366 da una delle più illustri casate di Francia, aveva già combattuto in Spagna contro i Mori e, nel 1396, insieme al Duca di Borgogna, aveva preso parte alla spedizione contro il quarto emiro degli Osmani, Bajazet I&. Catturato prigioniero nella battaglia di Nicopoli, era stato liberato dietro versamento di una grossa taglia. Ci narra lo storico Serra che fece la sua entrata in Genova accompagnato da mille cavalli e da mille uomini d'arme e che il suo portamento e la sua fierezza confermavano la reputazione e la fama che l'avevano preceduto e di cui i Genovesi attendevano una conferma, con la speranza di una liberazione dall'anarchia che erasi instaurata nella città. Per prima cosa, dato che era religiosissimo, si recò in Duomo a salutare il vescovo, dopodichè, radunato il Consiglio degli Anziani della città, li invitò a deporre la loro carica, nominando in loro vece persone a lui fidate. Il Serra, nella sua prosa antica, dice testualmente "...adunò incontinente il consiglio degli anziani, e sollicitatili a rinunziare in un tuon di voce che non volea rifiuti, pose in lor luogo dè suoi confidenti...". Si pose quindi a riorganizzare le milizie genovesi ponendo a capo di esse ufficiali francesi ed integrandone le compagnie con altri elementi a lui devoti.  Buccicaldo Per ben salvaguardarsi le spalle ai confini della Repubblica rinnovò i presidi dei castelli con guarnigioni francesi ed altrettanto fece nell'amministrazione civile delle terre soggette, nominandovi dei Podestà e dei funzionari di ben provata sicurezza. Non mancò, naturalmente, e come era d'uso a quei tempi, di essere severissimo nel punire tutti coloro che durante la vacanza dei governatori avevano fomentato tumulti o si erano posti a capo di fazioni ma, siccome fra questi ultimi vi erano persone benvolute da buona parte del popolo, commise l'errore di non sapersi dimostrare magnanimo facendo loro salva la vita.
In ognicaso, il Buccicaldo agiva da soldato e, come tale, non sapeva usare le mezze misure nè la politica della distensione, come forse gli sarebbe più convenuto. Certo che agendo in quel modo e rifacendosi all'esempio dei suoi predecessori, cercava di premunirsi dalle conseguenze che avrebbero potuto derivargliene, mettendo a repentaglio la sua autorità e la sicurezza delle terre a lui affidate. Messo un po' d'ordine nel governo, disarmata la plebe, ricostruita la fortezza del Castelletto e cinta di mura fortificate la Darsena, si dedicò subito alla riconquista della città di Monaco e della fortezza della Pieve con successi tali che gli valsero da parte di Re Carlo la dignità straordinaria di Governatore a vita.  Buccicaldo Il già citato storico Serra, riportando il giudizio dei contemporanei afferma che buona parte dei genovesi, sebbene ritenessero il Maresciallo eccessivamente portato alla severità ed al mantenimento dell'ordine con pugno di ferro, riconoscevano in lui eccellenti qualità di amministratore: "...lontano da vani sollazzi e da familiarità col bel sesso, limosiniere magnifico, e si religioso che udiva cotidianamente due messe...". Insomma, in quei primi tempi di suo governo lo stimavano tanto, oppure lo temevano ancora di più, da ricevere sua moglie e sua sorella, che aveva fatto venire in Genova, con onori sovrani e da votare in Consiglio una cospicua regalia di duemila genovine d'oro a favore delle due donne, facendo commentare al Serra che presso i genovesi di allora "...i più temuti sono sempre i più corteggiati.".
Tra il 1402 ed il 1403, con una flotta di sette galee, delle quali si proclama Ammiraglio, conduce una spedizione nei mari del Levante per ripristinare e rafforzare i fondaci mercantili genovesi colà stanziati e minacciati da quei Sultani. Durante il viaggio di ritorno si scontra con la flotta veneziana, dalla quale viene privato di due navi. Nell'agosto del 1403, sollecitato dai Guelfi alessandrini, capitanati dai Guasco, invia un forte contingente ad occupare Alessandria e la difende per circa un mese dagli assalti del condottiero casalese Facino Cane il quale, verso la fine di settembre, riesce ad impadronirsene mettendola a ferro e fuoco.
 Buccicaldo Il nostro governatore di Genova, tra un'impresa guerresca ed una marinara, si occupa intensamente del governo della Repubblica, Stipula trattati, sanziona convenzioni, nomina magistrati, favorisce gli scambi commerciali, fa buone leggi, redige nuovi statuti ed arriva anche, malgrado la sua ortodossa osservanza religiosa, a scontrarsi con l' Arcivescovo, Pileo De Marini, sulla questione della riduzione dei troppi giorni festivi che secondo lui, e non aveva torto, erano tanto cresciuti che per un quarto dell'anno distoglievano la popolazione da proficuo lavoro. Nell'estate del 1405 deve tornare a mettersi in campagna per portare soccorso e liberare diverse fortezze assediate ai confini della Repubblica dai soliti nemici milanesi, alessandrini e monferrini. Tratta con l' Antipapa Pietro di Luna (Benedetto XIII) e lo riceve con grande pompa in Genova. Si preoccupa di invitare il domenicano Vincenzo Ferreri (già preconizzato come santo dal popolo) a predicare il Liguria e, durante la peste del 1406, non manca di predisporre con lui ogni previdenza possibile a favore delle popolazioni colpite dal morbo. Riporta Sarzana e parte della Lunigiana alla Signoria genovese. Promulga severissime leggi contro i predoni che vengono dal mare e fa ricercare e condannare senza pietà tutti coloro che tengono mano ai pirati, ai briganti ed ai malfattori che devastano il territorio della Repubblica. Emette disposizioni per favorire l'esercizio dell'arte dei ferrai, approva spese per la fortificazione di tutti i castelli. Per risanare le finanze dell'erario impone nuovi dazi sopra i pesci, i legnami, i cavalli, la pesca dei coralli, l'uso delle perle, gli strumenti dei notai e perfino sopra le paghe dei marinai. Riunisce in una sola le diverse 'compere' (banchi o monti) dando così inizio a quello che si chiamerà poi il Banco di San Giorgio e che per oltre tre secoli resterà la tesoreria nazionale genovese. Quest'uomo, così attivo, estremamente dinamico e ben naturalmente orgoglioso e superbo, arriva persino, nella sua illimitata ambizione, a sentirsi arbitro e dominatore nella situazione italiana dell'epoca. Pensa financo ad un' impresa contro Roma e ne appresta i preparativi, ma si ricrede e vi rinuncia.
Va per intanto aggravandosi il malumore popolare in Genova contro di lui. Inoltre, durante le sue assenze i suoi luogotenenti si dimostrano dei veri oppressori. D'altra parte, sia Teodoro di Monferrato che Facino Cane, uniti nella loro costante lotta contro Genova, non mancano di creare continue e gravi tensioni in città dove i loro partigiani sono numerosi e premendo direttamente essi stessi con azioni di guerra ai confini. In questi frangenti critici, l'ambizione del Buccicaldo gli fa commettere il suo più grave errore, che sarà quello che gli farà perdere Genova. Sollecitato dalla fazione francese ad intervenire in Milano, vi accorre con gran numero di armati, lasciando Genova quasi indifesa e governata da un luogotenente. Approfittando di questo, Teodoro di Monferrato e Facino Cane, con un esercito di duemila cavalli e tremila fanti radunati in Acqui, scendono per Molare, Ovada, Voltri e, presentatisi alle porte di Genova ne chiedono la resa. Il popolo in tumulto si rivolta alle poche forze che presidiano la città, uccide il luogotenente Ugo Cholet con i suoi più diretti collaboratori ed apre le porte della città al solo Marchese di Monferrato, che se ne impadronisce quasi senza colpo ferire. Al condottiero casalese Facino Cane, invece, verrà pagata la grossa somma di trentamila fiorini d'oro perchè si allontani da Genova con i suoi avventurieri. Toccherà proprio a questo comandante di ventura sconfiggere definitivamente il Le Meingre che, accorrendo da Milano per soccorrere Genova, si scontrerà con lui nei pressi di Novi e ne sarà duramente battuto (ottobre 1409). Con le poche forze rimastegli, il Buccicaldo si richiude nella fortezza di Gavi, di dove uscirà solo due mesi dopo per dirigersi verso la Francia. Finisce così la novennale avventura italiana di questo geniale, superbo ed ambizioso guerriero francese. L'uomo, che così orgogliosamente si dichiarava nelle ampollose ed arcaiche intestazioni latine dei suoi proclami e decreti "Praeclarus et Magnificus Jean Le Meingre dictus Boucicaut, Marescalcus Francie. Regius et Januensium Gubernator pro Serenissimo Rege Francorum, Domino Januensium", deve risalire quasi indifeso, sempre insidiato e con pochi fedeli le valli piemontesi che lo riporteranno in patria. Di lui si trova ancora qualche accenno sulle cronache dei Marchesi di Saluzzo e del Ducato di Savoia. Sappiamo così dei suoi passaggi da Moncalieri, Albano Vercellese, Polonghera e, infine, Carmagnola, nel marzo del 1410, ultima sua tappa italiana prima di varcare i monti per il ritorno definitivo in Francia. Combatterà ancora per la sua patria nella battaglia di Azincourt (1415) e finirà i suoi giorni prigioniero nella Torre di Londra nel 1421 all'età di 55 anni.

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