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Bartolomeo Campora e lo Stemma di Capriata d' Orba.


Articolo n. 79 - Pubblicato su "La Provincia di Alessandria" del Maggio-Giugno 1983

 Bartolomeo Campora Il Campora, nei suoi "Cenni storici di Capriata d' Orba" - Tip. della Gioventù - Genova 1889, a pag. 23 scrive testualmente: "nella sala delle sedute del Municipio v'ha un quadro raffigurante lo stemma di Capriata; cioèuna torre rotonda e dietro di essa quattro pale o tavole in croce per pat'lare da lungi con segnali, come usavasi prima dell' invenzione del telegrafo. In alto del quadro leggonsi le seguenti parole: Dulcis Aura veni. Non consta però che tale sia lo stemma di Capriata; nessuno l'assevera; tutti ne dubitano; è invece l'insegna che il tipografo Pietro Gio Calenzani impresse sul frontespizio del volume degli Statuti di Capriata da lui stampato in Acqui nel 1620.".
Indipendentemente da quanto osserva il Campora, dobbiamo subito premettere che, al giorno d'oggi, l'uso ormai pluricentenario di tale insegna come stemma civico puo' essere mantenuto stabilmente dal Comune di Capriata in quanto la regolamentazione araldica moderna (ed anche quella antica) sugli stemmi dei Comuni, Citta', Provincie ed altri Enti permette ed ha sempre permesso l'approvazione di antichi blasoni, purchè ne sia comprovata la secolare consuetudine d'uso sia storica che tradizionale. Non sappiamo se tale stemma sia stato regolarmente approvato dagli organi superiori competenti. Non crediamo ciò sia avvenuto, ma a questa necessità si può sempre provvedere con apposita domanda e documentazione al Capo dello Stato ed alla Presidenza del Consiglio.  Bartolomeo Campora In quanto poi alla categorica affermazione dello storico capriatese che tale blasone non è che il marchio artigianale che il tipografo Calenzani di Acqui impresse sul frontespizio del volume degli Statuti di Capriata da lui stampato nel 1620, essa può, in parte, trovarci d'accordo perchè, in effetti gli Statuti portano impresso per ben tre volte tale sigillo: una sul frontespizio al centro, abbastanza grande ma non troppo distinguibile; la seconda, in piccolo ma sufficientemente chiara, nel fregio che sovrasta la dedicazione di tali statuti, fatta dal tipografo Calenzani al Signor Gio Stefano Paleario, Commissario Generale del Ducato di Mantova e Monferrato; la terza, alla fine degli Statuti e prima dell' elencazione dei privilegi e diritti municipali, in formato medio e del tutto nitida.
A questo proposito abbiamo voluto dare una veloce scorsa al contenuto degli Statuti ma, a dire il vero, non vi abbiamo trovato alcun accenno a concessioni od assunzioni di alcun blasone civico, nè da parte della Comunità nè per privilegio concesso dalle Autorità Monferrine. Pensiamo che se ci fosse stato il Campora Io avrebbe visto prima di noi.
 Bartolomeo Campora Ci riteniamo pertanto d'accordo con quanto lui afferma aggiungendo che, con tutta probabilità, a quel tempo il marchio piacque, fu elaborato e ridisegnato nella forma attuale che noi vediamo ancora oggi nel quadro che trovasi in Comune, gli fu scritto sopra "Stemma di Capriata e da allora in poi usato come tale è". La nostra non e un illazione concordante però con la certezza del Campora il quale, con tutto il materiale d'archivio, bibliografico, manoscritto, stampato, edito od inedito che ha avuto tra le mani, analizzato e studiato, riguardante le antiche vicende del suo paese, non si sarebbe certamente azzardato a fare una simile affermazione se gliene fossero mancate le ragioni.
Sempre in merito allo stemma, il nostro storico continua così: "Se uno stemma il Municipio stimasse quando che sia di adottare, non dovrebbe essere altrimenti che una croce nella parte inferiore dello scudo, a memoria del viver libero di cui godette Capriata come repubblica e comune indipendente, o del dominio che poi sopra di esso Comune ebbero quelli di Genova e di Alessandria e l'Augusta Casa di Savoia; i quali tutti hanno a stemma una croce. Nella parte superiore dello scudo si avrebbe ad imprimere la torre quadra (non rotonda) e merlata, aggiungendovisi pure, se lo si credesse, e le tavole dei segnali e le parole sopra riferite.".
Queste parole portano in se una discreta indicazione ai reggitori del Comune di cambiare l'insegna civica, suggerendone la nuova impostazione ma senza alcun riferimento ai colori ed agli smalti. Noi abbiamo cercato di riprodurre graficamente il pensiero del Campora ma non ci pare che il risultato sia soddisfacente in quanto il blasone che ne viene fuori, indipendentemente dalla sua non molta ortodossica araldica, dice ben poco anche per il riferimento diretto alla storia ed all'attualità di Capriata. Semmai. se per pura ipotesi, si ritenesse necessano un cambiamento, esso potrebbe concretarsi in un connubio di storia, tradizione e realtà ed essere descritto così: "D'azzurro alla torre antica del Castelvecchio di Capriata al naturale, con il capo d'argento alla Croce di rosso. Ornamenti esteriori e corona da Comune.". Questa elaborazione sarebbe forse la più indicata, perchè la riproduzione al naturale della torre del Castelvecchio non è soltanto storica ed attuale ma può compendiare in se stessa tutte le vicende antiche e moderne della vita comunitaria del paese. Inoltre, la croce rossa in campo d'argento ci ripropone e ricorda gli stemmi della Repubblica di Genova e del libero Comune di Alessandria che nel passato si contesero il paese e ne ebbero la Signoria.
Ma, come più sopra esposto, abbiamo la convinzione che il Comune di Capriata possa tenersi e continuare ad usare lo stemma che fino ad oggi ha innalzato. Da lunghissimi anni esso è diventato tradizionale e, come tale, fa ormai parte della storia e della consuetudine paesana. Piuttosto, sarebbe bene, se ciò ancora non è stato fatto, iniziare la pratica per la sua regolare approvazione. modernizzandone lo scudo in forma sannitica con i regolari ornamenti esteriori. In quanto al motto latino, che è beneaugurante e poetico, lo si lasci pure: non può che portar bene.

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NOTE del curatore:

In questo articolo l'Autore ci appare di molto sottotono. Egli trascura infatti tanti e tali particolari nella sua analisi che quasi ci meravigliamo di tanta leggerezza.
Tanto per cominciare, non gli viene neppure in mente che lo stemma di Capriata raffiguri un mulino a vento (visto da dietro) e ciò pare ancora più strano se si pensa al motto dello stemma stesso, che si augura il sopravvenire di una buona brezza...(e non potrebbe essere diversamente, visto che con il vento i mullni a vento ci lavorano).
Come seconda cosa, egli non contesta l'affermazione del Campora secondo cui lo stemma raffigurerebbe una torre di segnalazione. Sarebbe stato sufficiente per l'Autore verificare qualche immagine di antica torre di segnalazione per vedere che le braccia di segnalazione sono quasi sempre due, sono diverse da come raffigurate e sono sempre poste in cima alla torre e mai al suo centro, anche perchè in tale modo non sarebbero per nulla visibili.
Circa poi l'origine di tale blasone, siamo alquanto dubbiosi circa la sua appartenenza al tipografo. Lo stesso Autore, in altri suoi scritti, ci insegna che nel passato (e talvolta succede anche oggi) quando un llbro od una qualsiasi opera veniva dedicata a qualche personaggio insigne od importante, si riportava lo stemma del personaggio affinchè rimanesse per i posteri il ricordo di chi aveva 'finanziato' tale opera. Se poi pensiamo che ben difficilmente il tipografo sia stato affetto da monomania tale da inondare di suoi stemmi di famiglia un libro che egli stampava per altri, ci convinciamo sempre più che quello stemma possa appartenere al Paleario citato nell'articolo. Come seconda ipotesi è comunque da tenere presente quella che tale stemma sia stato effettivamente quello di Capriata, anche perché sovente nel passato gli stemmi raffiguravano caratteristiche peculiari del paese. A questo proposito l'Autore avrebbe dovuto svolgere dcerche storiche per appurare se nel passato a Capriata fosse esistito un (o più) mulini a vento. Circa quest'ultima ipotesi, che teniamo in conto poichè non vi sono certezze tali da poterla escludere, riteniamo comunque che possa essere poco plausibile, in quanto i mulini a vento non sono mai stati caratteristica di queste zone, tant'è vero che il Campora stesso non solo non ne fa cenno nelle sue trattazioni, ma neppure sa cosa siano, poichè altrimenti a quest'ipotesi ci sarebbe arrivato prima lui di noi.

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