Storia, tradizione e leggenda sull'antico Castello di Ovada..
Articolo n. 20 - Pubblicato su "La Provincia di Alessandria" del Settembre-Ottobre 1969.
Ovada, a differenza di tutti gli altri paesi e borghi che la circondano
e le fanno da corona, non ha più il suo antico castello. Di esso
nessuna vestigia rimane se non qualche rara raffigurazione in antiche
stampe, ma di epoca recente, e cioè quando di esso non restavano
che i ruderi.
Gli ovadesi si saranno chiesti talvolta il perchè di questa privazione
che ha tolto alla cittadina una delle caratteristiche del suo paesaggio.
E' una domanda alla quale oggi è un pò difficile rispondere,
data la penuria di documentazione in proposito.
Esso fu certamente demolito per ragioni di ordine pratico e contingente
e, sebbene manchino precisi riferimenti, queste ragioni sono evidenti
ed hanno avuto la loro giustificazione nel tempo e nelle realizzazioni
che hanno poi confermato le necessità di allora. Certamente, quando
fu smantellato, verso la metà dello scorso secolo, era ormai da
anni disabitato, semidistrutto e pericolante.
A questo proposito, abbiamo potuto reperire un lontano Atto Consolare
del Comune di Ovada alla data del 15 giugno 1846, sotto la Presidenza
del Sindaco Pier Domenico Buffa, che ha per oggetto: "Demolizione
di una parte dell'antico Castello di Ovada" e porta il n. 1319 di
repertorio.
In questo documento si possono intravvedere in parte le ragioni che, già un decennio prima del definitivo smantellamento, giustificavano fin d'allora la necessità della sua demolizione. Dice il documento: "...riconosciuta
l' urgenza di demolire i miseri avanzi di questo antico e cadente
castello, quale sovrastando strada e ponte del Comune frequentatissimi,
fassi evidente di giorno in giorno il pericolo di disastri, nonchè
dalla caduta dei muri predetti possa derivare necessariamente pur
quella del ponte, come ben saviamente avverte il perito dell'arte
che esplorò la località e fecevi maturo esame....".
In queste parole si rivela l'impellente necessità di ovviare ad
un pericolo che era costante e grave per la pubblica incolumità.
D'altra parte, la montagnola sulla quale era costruito, con i ruderi
spogli ed inutili, con le due ripide e scoscese rampe che portavano
all'accesso del borgo dai due ponti e che, se forse un tempo potevano
aver servito per necessità di difesa e di impedimento ad eventuali
invasioni, non rappresentavano ormai più che un ingombro e una
strettoia stradale che i tempi moderni e più sereni avevano ormai
superato e che necessitava abolire per dare maggiore e migliore sfogo
sia alla viabilità che al commercio nelle due direzioni di Novi
ed Alessandria. Inoltre, a differenza di tanti altri manieri dell'
Alto Monferrato che erano proprietà di nobili famiglie infeudate
dei luoghi e che per questo potevano essere mantenuti e conservati,
il castello di Ovada era di proprietà della Comunità alla
quale, per i motivi più sopra specificati, era più di ingombro
che di utilità.
Se poi analizziamo bene gli antichi documenti e le vecchie cronache
su Ovada, non troviamo che esso sia mai stato adibito a vero e proprio
uso di abitazione del castellano. Forse lo fu, per breve tempo, nell'
Alto Medioevo, quando Ovada era infeudata alle grandi famiglie marchionali
degli Aleramici prima e dei Malaspina e Marchesi Del Bosco poi. Dopo
il passaggio a Genova, qualche castellano residente vi abitò per
breve periodo, ma nei tempi di poi i 'Capitani Giusdicenti' che annualmente
venivano mandati dalla Repubblica preferivano abitare in più comode
dimore del borgo, lasciando nel castello soltanto le soldatesche di
presidio, che lo usavano come caserma.
Naturalmente, negli svariati ed innumerevoli episodi di guerra che
si susseguirono nel tempo, non poche volte i Comandanti responsabili
della difesa di Ovada dovettero asseragliarvisi con le truppe per
difendersi e difenderlo ma, di solito, la sua funzione fu, più
che altro, quella di aqquartieramento delle milizie e deposito di
armi e vettovaglie.
Ma, lasciando cadere la domanda che ci siamo posti all'inizio di questo
scritto, dobbiamo però dire che, se non altro, la demolizione
del castello, pur privando la città di un suo ricordo storico
tangibile ed anche un pò romantico, permise di ricavare sul posto
dove il maniero sorgeva quella bella e grande piazza chiamata, appunto,
Piazza Castello, e che serve da sbocco naturale alle due grandi vie
di comunicazione che provengono da Novi e da Alessandria. Inoltre,
l'immenso materiale terroso ricavato venne riportato per la costruzione
di altre due belle strade di circonvallazione.
Passiamo ora a dire e, più che a dire, supporre, quello che poteva
essere stato il Castello di Ovada. Ripeto: a supporre, poichè
i documenti, e sono molto pochi e frammentari, non ci illuminano certo
molto.
Da una nota del Caffaro si legge: "...1273.. il nobile Egidio di
Negro andò con un poderoso esercito di 1300 lancie, 600 e altri
militi stipendiari e cento balistrari della Podesteria del Bisagno,
e si presentarono avanti la porta di Ovada, che è sotto il Castello.
Era questo castello di Tomaso Malaspina e fu da questi fortificato.....".
In un'altra cronaca del Bonfadio del 1528 in Archivio di Genova si
dice ancora "...Ovada è castello di qualche stima posto oltre
il giogo apennino....".
Nel 1745, in una nota di lavori da fare in Ovada dal Commissario genovese
Gio Antonio Raggi, si parla di restauro della porta del Ponte d' Olba
e quella del Ponte di Stura attaccandosi alla 'scarpa del castello'.
Il Vinzoni, nel 1773, nella sua pianta di Ovada scrive: "...Ovada,
borgo insigne murato con castello antico....".
Negli Statuti di Ovada si accenna qualche volta al castello, così
come Ovada o Il Castello di Ovada vengono nominati dal Botta, dal
Muratori e dal Serra, ma sempre in forma molto vaga e generica, che
non illumina certo.
Pertanto, ci limitiamo qui a dire quanto si sa e quanto si suppone,
attaccandoci, oltre che a quei pochi e frammentari documenti, alle
tradizioni popolari, basandoci un poco sulla configurazione geografica
e geologica della località sulla quale venne costruito, cercando
di fare del nostro meglio per formare un quadro, se non preciso, almeno
molto vicino ed attendibile a quanto può essere stata la realtà.
Sorgeva in posizione perfettamente strategica sulla punta di quello
sperone roccioso che è stato formato dalla millenaria erosione
dei torrenti Orba e Stura e sul preciso luogo della loro confluenza,
sicchè si può dire che su ben tre lati era circondato dall'acqua.
Le scoscese pareti della rupe sulla quale si elevava erano pressochè
inscalabili, data la loro pendenza, e dove nessun appiglio vi era
per potervisi arrampicare. Il nemico che anche fosse riuscito a guadare
i due bracci del fiume si sarebbe poi trovato nell'impossibilità
di scalare la parete rocciosa e, se lo avesse tentato. dall'alto delle
mura e della rocca i difensori avrebbero avuto molto buon gioco a
tempestarlo di massi e proiettili, sì da annientarlo prima ancora
di averne tentata l'impresa. Verso Sud un profondo fossato con ponte
levatoio ne sbarrava l'accesso principale. Bisogna dire che i costruttori
sfruttarono al massimo le difese naturali che trovarono sul luogo
e poterono così elevare un fortilizio che, almeno nei primi tempi,
poteva considerarsi quasi inespugnabile.
Poco si sa della sua primitiva costruzione; essa si può fare risalire
con tutta probabilità al periodo della Signoria degli Aleramici
Marchesi di Monferrato. Quel che è certo è che i Genovesi
lo acquisirono dai Malaspina, discendenti degli Aleramici, nella seconda
metà del XIII secolo, quando vennero in possesso di tutto il borgo
e del contado di Ovada.
Il G.B.Rossi, nella sua 'Ovada e Dintorni', ci dice che già nel
1272 il Marchese Tomaso Malaspina, Signore di Ovada (colui che cinque
anni dopo, nel 1277, cedette Ovada a Genova), introdusse furtivamente
nel castello molti armati genovesi che stavano conducendo una guerra
al Marchese Manfredo Del Bosco. Ciò favorì moltissimo i genovesi
che, essendo potutisi attestare nella rocca ovadese, riuscirono a
sconfiggere gli avversari.
La Repubblica di Genova lo riedificò quasi integralmente ai tempi
di Antoniotto Adorno, lasciando di antico solo la torre quadra di
pietra lavorata. Lo dotò di un castellano residente e di milizie
stabili. Abbiamo in proposito notizie su diversi castellani in Ovada
che vengono nominati negli Statuti Ovadesi del XIII e XIV secolo.
Nel 1330 era castellano di Ovada per conto della Serenissima un Isnardo
Malaspina, Signore di Cremolino e discendente del Marchese Tomaso.
Questo Isnardo, che probabilmente era di molto impegnato a curare
i suoi feudi e più che altro a difenderli, nello stesso anno,
con atto rogito Notaro Pagano Callegario, nomina a suo procuratore
certo Corrado Zabrera, incaricandolo di ricevere gli stipendi per
la custodia del castello e del Borgo di Ovada. Sempre citando il Rossi,
si sa che nel 1383, sotto il dogato del Doge Guarco la spesa per la
custodia del Borgo e del Castello costava alla Repubblica la cospicua
somma di lire 740 annue.
E' difficile poter immaginare oggi come fosse la fabbrica prima del
passaggio alla Repubblica di Genova. Per i secoli di poi, è certo
che il castello si componeva di una potente cinta di mura merlate
con torrette di guardia ai lati; un grandioso torrione rotondo ne
guardava l'entrata principale ed altre tre torri quadre, delle quali
una altissima, con fabbricati di servizio ne completavano l'insieme.
Il gran torrione rotondo aveva le mura dello spessore di due metri
al piano del cortile ed il suo diametro interno era di otto metri.
La torre quadrata, alta venti metri con le mura dello spessore di
un metro, era tutta di pietra viva lavorata e, come già detto,
risaliva alla primitiva costruzione.
Innumerevoli furono gli assedi che il castello subì in quei tempi,
anche in considerazione delle continue lotte che la Repubblica dovette
sempre sostenere con gli Stati confinanti. Fu lesionato non poche
volte da eventi bellici di quel tempo e, verso la fine del 1600, durante
la guerra tra il Ducato di Savoia e Genova, subì una parziale
distruzione per uno scoppio improvviso di mine che vi erano state
poste e che causò il crollo di gran parte della fabbrica, seppellendo
altresì circa 500 soldati che vi si erano asserragliati per difenderlo.
Le continue guerre ed il periodo napoleonico, con gli immancabili
aqquartieramenti di truppe straniere e relative spogliazioni, finirono
per smantellarlo del tutto.
Quando fu demolito, nel 1855, erasi ormai ridotto a due torri smozzicate
e qualche rudere circondato da mura crollate o pericolanti.
Durante i lavori di demolizione, si pensò di poter trovare qualche
reperto archeologico che potesse meglio illuminare sulla sua passata
grandezza, ma nulla venne alla luce se non qualche freccia reperita
sulla sommità della torre rotonda maggiore.
Ed ora che abbiamo detto del castello per se stesso, diciamo qualcosa
anche su un fatto avvenuto in esso nel 1500 e che ha lasciato un ricordo
ancora vivo nella tradizione popolare e nelle storie verbali che i
vecchi ovadesi ci hanno tramandato.
L'episodio riguardante i fatti avvenuti nel castello di Ovada non
è storicamente documentato, sebbene nel passo più sotto riportato
il cronista si serva di molti sottintesi, ma vale la pena di riferirlo
così come la tradizione antica ovadese ce lo ha tramandato, non
fosse altro come testimonianza di una mentalità e di costumi che
potevano ritenerlo attendibile.
Annota dunque il Bonfadio: "...1528... Ovada è castello di qualche
stima posto oltre il gioco apennino, il quale la famiglia Trotti di
Alessandria per molti anni avevano occupato. Vi andò ad espugnarlo
Bartolomeo Spinola, al quale quelli uomini disperando delle cose loro
assai presto si dierono....".
I Trotti erano stati infeudati di Ovada dal Duca di Milano nei primi
anni della seconda metà del XV secolo, chè ancora nel 1444
erano Signori di Ovada gli Spinola genovesi che ne furono privati
quando il Duca di Milano pervenne nel possesso di Genova e delle sue
terre.
Famiglia di origine milanese, numerosa e potente, imparentata con
i Bentivoglio di Bologna dei quali poi assunse anche il nome e lo
stemma, era stata insignorita dal Duca di Milano di molte castella
in territorio genovese. Il governo dei luoghi era stato suddiviso
fra diversi membri della famiglia che tenevano, oltre ad Ovada, anche
Montaldeo ed altri paesi.
Quelli in Ovada, strapotenti ed autoritari, sebbene nei primi anni
della loro signoria avessero adottato una certa cautela nel governare
e portato qualche non indifferente beneficio al paese (vedi, ad esempio,
la costruzione della chiesa e del convento dei Domenicani, sotto il
Conte Antonio) erano andati via via scadendo nel favore popolare che
subito si erano accaparrati e, con il passare degli anni, degli uomini
e degli eventi, avevano fatto completamente subentrare alla loro primaria
politica paternalistica e tollerante, un vero e proprio regime di
strapotere e di oppressione che, esercitato con forte abuso e crudeltà
dai loro rappresentanti e castellani, si spingeva fino alla pretensione
degli antichi diritti o 'Jus Feudali' risalenti all'alto Medioevo.
Risiedeva in quel tempo in Ovada, quale rappresentante dell'autorità
dei feudatari, impegnati nelle guerre del Duca di Milano, un castellano
francese di non indifferente ferocia e che, contornato di sgherri
e soldatacci feroci quanto lui, vessava ed infieriva per il borgo
e le campagne.
In Ovada si tramava e, d'altronde, ne erani i tempi. Oltre al malcontento
popolare, sul quale influiva senza dubbio la politica sotterranea
dei genovesi ai quali Ovada era sempre stata feudataria ed alleata,
esistevano certamente nel borgo famiglie e persone legate a Genova
da innumerevoli vincoli ed interessi finanziari e politici che agivano
nell'ombra per il ristabilimento in loco del potere della Repubblica.
I castellani, che certo ne avevano avuto sentore e che forse da tempo
pensavano di fare un repulisti generale dei loro oppositori, agirono
veloci e, con i metodi subdoli di allora, giocarono d'astuzia. Fingendosi
propugnatori di una pacificazione, invitarono ad un banchetto nel
castello le persone più influenti e sospette del paese e, nel
bel mezzo del convivio, le fecero tutte assalire, torturare ed imprigionare
da sicari appositamente appostati. Non bastando questo, ed a monito
di tutto il paese, gettarono i superstiti incatenati nelle più
profonde segrete del maniero ed, essendoci scappato qualche morto,
uno dei quali pare sia stato un Maineri di parte genovese e persona
influentissima allora nel borgo, ne esposero le spoglie sugli spalti
del castello.
Questa la tradizione popolaresca che si riporta così come è
stata tramandata di generazione in generazione, pur elevando le debite
riserve circa la sua attendibilità e tenendo conto che nel popolo,
e particolarmente nel popolo di allora, i fatti erano soggetti ad
essere esagerati e travisati di solito sempre nella loro soluzione
più tragica.
Contro fatti di così nefanda crudeltà si levò tutto il
paese a rumore e furono inviati subito deputati a Genova per fare
le debite rimostranze e chiedere aiuto.
La Repubblica, che da tempo mirava a ripristinare la sua sovranità
completa sul borgo, inviò immediatamente il Bartolomeo Spinola
con ingenti forze, che espugnò il castello e liberò il paese
dal giogo degli oppressori. I castellani, fuggiti per la strada di
Roccagrimalda, poterono riparare indenni in Alessandria.
E' da sottolineare che la Repubblica di Genova mandò lo Spinola
il quale, oltre ad essere un valente capitano, era anche un discendente
degli antichi feudatari di Ovada e, pertanto, parte più che interessata
a riportare nel borgo non solamente la supremazia genovese, ma anche
il suo personale diritto feudale che, da oltre 50 anni, i Trotti avevano
tolto alla sua famiglia.
Ma la faccenda non finì lì, chè ebbe un seguito ben più
tragico per i Trotti che tenevano Montaldeo e dove, ancor più
che in Ovada, spadroneggiavano ed infierivano.
In tale paese, un altro ramo di tale famiglia imperava con i soliti
brutali abusi e pretensioni illecite su quegli abitanti i quali, nello
stesso anno 1528, sentito della cacciata di quelli di Ovada, si sollevarono
e con furore popolare trucidarono i castellani stessi con tutti i
loro famigli e servi e ne gettarono i corpi in un pozzo profondissimo
dove, da ricerche fatte nel 1827 per appurare la verità storica,
furono portati alla luce ben 14 teschi umani e moltissime ossa.
Come si vede, gli abitanti di Montaldeo agirono in conseguenza di
quanto era avvenuto in Ovada e, anche qui, non dovette mancare lo
zampino della politica espansionistica genovese perchè, subito
dopo la sollevazione popolare, troviamo il solito Bartolomeo Spinola
che, con la scusa di rimettere ordine, piomba con il suo esercito a
Montaldeo e vi instaura provvisoriamente la signoria militare genovese.
Non pare che il Duca di Milano, del quale i Trotti erano feudatari,
si angustiasse molto dei fatti accaduti in Montaldeo nè tantomeno
di quanto era avvenuto in Ovada, perchè si limitò a punire
i presunti capi della sommossa con la confisca dei beni e con l'esilio,
condanna invero molto blanda per quei tempi, dopodichè vendette
il feudo di Montaldeo ad un Grimaldi genovese (e c'è da pensare
che di quel feudo non troppo gli importasse) il quale Grimaldi, a
sua volta, lo passò alla famiglia Doria, anch'essa genovese, alla
quale sempre rimase.
Del castello di Ovada, invece, oggi non rimane che il ricordo ed una
bella piazza che ne porta il nome.