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1798-1800 - L' Amministrazione Popolare di Ovada.
Articolo n. 93 - Pubblicato su "La Provincia di Alessandria" dell'Aprile-Settembre 1985
(Rielaborazione del precedente articolo n. 48)


Come sappiamo, dopo la prima vittoriosa Campagna d'Italia del Buonaparte nel 1796, la oltremontana ventata rivoluzionaria era scesa su tutto il genovesato e, nel 1797, tra la dispersione di emblemi oligarchici, di patenti di nobiltà ed in mezzo a tutte le violenze conseguenti, spegnevasi, con il concorso dell'indolenza della sua classe dirigente, della pressione determinante delle armate francesi e le turbolenze degli elementi giacobini, l'antica Repubblica aristocratica genovese, per fare posto a quella che si intitolava "Democratica Ligure" e si ispirava ai fondamentali principi della Rivoluzione Francese. Si erano andate così formando in tutto il territorio della Repubblica le nuove Municipalità democratiche elette dai Comizi di Giurisdizione e che sostituivano le antiche Comunità che fino ad allora avevano retto ed amministrato le popolazioni dei borghi e dei paesi.



Gli altri incidenti e motivi che portarono il Governo centrale a questo drastico provvedimento furono i seguenti: Era stata concessa l'autorizzazione a certi Gio Massetti e Angela Tornielli del Lago di Como "comici ambulanti" di rappresentare in Ovada, a pagamento e con figure di cera, diversi personaggi di Francia ..."con allocuzioni allusive alla rappresentanza di dette statue non consentanee al presente sistema e nelle quali si commiseravano la famiglia Capeto...". La Municipalità, malgrado molte istanze, non aveva raccolto ed inviato a Genova alcun fondo per "La liberazione degli schiavi liguri detenuti in mano ai Barberi."; non si era provveduto a fare affiggere diversi bandi delle nuove leggi o, se qualcuno di essi era stato affisso, veniva nottetempo strappato e distrutto da ignoti, senza che la Municipalità prendesse alcun provvedimento.
Questa sospensione non durerà però molto, perchè già alla fine di Novembre tutti i consiglieri vengono riposti in carica dopo un'energica reprimenda e l'intimazione di curare di più gli interessi municipali e repubblicani. D'altronde, la Repubblica Democratica Ligure non poteva politicamente imporre un provvedimento di sostituzione per dei cittadini che erano stati liberamente eletti e che rappresentavano la volontà popolare; se lo avesse fatto, avrebbe essa stessa tradito i principi ai quali si ispirava e, d'altra parte, gli errori e le manchevolezze di un'amministrazione formata da uomini nuovi, ancora inesperti nelle sottigliezze politiche, non pratici di diritto amministrativo, impreparati e poco colti, non potevano essere che venialità riparabili. La lezione certamente giovò ed ebbe i suoi effetti concreti per l'avvenire.
I responsabili ovadesi cominciarono così a funzionare meglio e a mettere in atto le disposizioni emanate da Genova e, più che altro, ad ubbidire agli ordini che vengono perentoriamente emanati dal generale francese Lapoype, comandante militare della Liguria. Viene così effettuato un primo inventario delle armi esistenti in Ovada e che dovranno essere messe a disposizione della Guardia Nazionale; sono in questo modo confiscati "n. 186 schioppi e n. 8 barili di cartuccie.". Si "catasta" tutto il territorio comunale, opera questa che ancora oggi resta negli archivi e che sarà alla base di tutta la seguente regolamentazione del catasto. Si provvede alla formazione di un corpo di esploratori ed informatori che agiscano ai confini del territorio e che vigilino su tutto quanto avviene nei paesi e nelle località confinanti, allo scopo di darne immediato avviso alle autorità locali che, a loro volta, dovranno informarne il governo genovese ed il comando militare francese. In questo periodo la Municipalità, forte della volontà popolare, riesce a bloccare un primo tentativo, fatto da estremisti, per espellere i Padri Domenicani da Ovada e dal loro convento; questo verrà poi soppresso nel 1810 con le leggi napoleoniche. A questi religiosi, ai quali erano stati confiscati i beni, viene concessa una pensione annua di Lire 400 per ogni sacerdote e di Lire 250 per ogni fratello laico al fine di compensarli delle proprietà perdute e perchè possano continuare la loro opera che si esplicava particolarmente nell'istruzione scolastica della gioventù ovadese.

Già alla fine del 1798 la Municipalità informa il governo e le autorità militari che una banda di circa quattrocento individui controrivoluzionari, venendo da Nizza ed escludendo la fortezza di Acqui troppo ben difesa, è arrivata fino a Visone e Morsasco. Gli esploratori vigilanti ai confini precisano con testuali parole che "questi perfidi realisti entrando nei paesi fanno svellere o tagliare i Sacri Alberi. Ma da Alessandria si è mosso un forte reparto francese con cannoni che passando per la strada a valle del Belbo va a rinserrare i vili tra Nizza ed Acqui, così che questi vili saranno presto dissipati e finiranno la loro fonzione con pagare col sangue il fio della loro scelerata idea...", e la Municipalità chiude la sua lettera al governo, assicurando che "..tali notizie hanno rimesso la nostra città in calma e si vanno usando e si continuano le dovute precauzioni.".
Non passano due mesi che altre notizie di turbolenze vengono riportate dagli informatori e ritrasmesse dalla Municipalità al Direttorio Esecutivo di Genova: "... li 26.2.1799, dal mezzogiorno alle ore sette in cui scriviamo li paesi di Strevi, Rivalta, Visone, Cassine ed altri sono in insurrezione che della guarnigione di Acqui si erano portati vari francesi in Strevi all'oggetto di sedare il tumulto e che da que' paesani sia stato ucciso il comandante; che vi si era portato pure il Vescovo d'Acqui con altri soggetti per lo stesso oggetto, che lo stesso e gli altri fossero stati trattenuti in ostaggio ed indi rilasciati e finalmente che in Acqui quella poca guarnigione francese era stata obbligata a ritirarsi nel castello e che la città sia stata invasa dagli insorti che per quanto si è potuto sapere non sono più di trecento, motivo che fa credere che in detta città vi sia del partito degli stessi li quali gridavano e facevano gridare: Viva il Re. Quantonque sembri che per noi non vi sia che temere, ciò non pertanto per il buon ordine si sono ordinarti due picchetti a quelli confini e le pattuglie per la città. Si sono fatte spedizioni per essere maggiormente accertati dei fatti ed avendo notizie di maggiore rilievo ci faremo premura di trasmetterle. Si danno a questo proposito anche avvisi alla Municipalità di Rossiglione affinchè invigili...".
Queste allarmanti notizie di quanto avviene nei paesi vicini inducono il governo ligure ad inviare in Ovada un distaccamento di 150 uomini di truppa. Queste truppe, al comando del cittadino Capitano Boccardo, devono sostare molte ore sulla piazza di Ovada per attendere che si provveda al loro alloggiamento ed inoltre il problema del loro vettovagliamento si presenta subito alquanto difficile per il fatto che i locali fornitori non sono troppo propensi a vettovagliarle essendo ancora in credito di molte migliaia di lire per forniture precedenti non ancora pagate.
Il 10 marzo 1799 arrivano notizie che l'insurrezione nei paesi vicini è stata domata e molti dei capi facinorosi sono stati fucilati in Acqui ed altri arrestati. Il primo di aprile vengono formate tre compagnie di Guardia Nazionale che avranno il compito di vigilare ai confini, di tutelare l'ordine pubblico e di coadiuvare con le truppe regolari liguri per qualsiasi eventuale difesa militare del borgo. In un clima così vasto di apprensioni e di preoccupazioni, la Municipalità ovadese deve altresì occuparsi per limitare al massimo l'attività estremista di un 'Club' giacobino che è stato aperto nella casa di un certo cittadino Pier Francesco Rossi e composto da Stefano Carlini, Domenico Saredo detto il Budego, Vincenzo Martini, Bartolomeo Piana detto il Bandito, Vincenzo Frascara detto Piscia.... "gente oziosa, sussurratori del paese, insultano e pretendono di fare quello che vogliono, beffano il capo della Guardia Nazionale e vanno a fare insulti nei paesi limitrofi...". Dalla descrizione di questi individui che abbiamo riportata da una lettera d'informazioni della Municipalità al Governo Ligure, possiamo farci un'idea con quali campioni di democrazia le autorità dovevano combattere e di quali grane questi elementi potevano creare ai reggitori della cosa pubblica in momenti così delicati e pericolosi. A complicare ancor più la giàcaotica situazione del borgo ci si mettono anche i soliti immancabili propalatori di notizie tendenziose: "... 29.4.1799... si sono chieste precise indicazioni alla Municipalità di Nove circa voci pervenute in Ovada che gli Austriaci sono entrati vittoriosi in Milano. Tali voci sono state portate in Ovada da un certo Giuseppe Dardano detto il Birba di Silvano il quale vi ha fatto sopra anche larghissime scommesse per conto di un tale Vittorio Pietro Vernetti di Nove. Per opportuna prudenza e siccome la notizia ha allarmato tutti li buoni cittadini ovadesi il detto Birba è stato arrestato perchè denunciato come allarmista...".

Il 18 maggio arriva la notizia che gli Austro-Russi sono definitivamente entrati in Novi. Il 27 avvengono incidenti tra ovadesi e paesani di Roccagrimalda; questi ultimi, venuti in Ovada con la coccarda imperiale nera e gialla sul cappello, vengono insultati ed obbligati a deporre tale distintivo, che viene calpestato e sputacchiato da giovinastri ovadesi. La municipalità teme che questo inconveniente possa venire a conoscenza delle truppe Austro-Russe che già si trovano in Capriata d'Orba e che queste possano portarsi in Ovada con intenzioni offensive. Il 31 maggio 350 cavalleggeri e 250 fanti di Suvarov entrano in Ovada e vi si stabiliscono militarmente fino al 10 agosto, quando vengono ritirati per essere impiegati alla battaglia di Novi che avverrà cinque giorni dopo. L'approvvigionamento di queste truppe costò alla Municipalità ed agli abitanti di Ovada la bella somma di Lire 70.000 per viveri, foraggi e tutto il resto.
Dopo il 15 agosto cominciano a ripassare i Francesi che, sconfitti a Novi, riparano su Genova per la via dei monti. Queste truppe in ritirata si dimostrano peggiori e più fameliche delle altre; le relazioni della Municipalità al direttorio esecutivo ligure ce lo dimostrano: "...dall'avvisato giorno transitarono quelle de' francesi in numero di mille e più oltre alquanti di cavalleria, che furon proviste di pane, vino risi e carne e di Guide, ciò che importò altra somma non indifferente; queste unitamente ad altre e che fra tutte componevano il numero di ventimila ripassarono il giorno 16 del corrente mese, vi pernottarono ed ancor vi si fermarono tutto lo seguente giorno, e per provvederle si dovette, oltre le razioni di pane, vino, carni, faggioli, risi ed altro, proviste da questa Commune, ancor spogliare i Particolari in generale del pane che per loro uso avevano in le loro case, sul ponto di compettare le ventimila razioni che furono richieste senza induggio. Ieri parte di esse partirono pel Sassello e parte non indifferente restò da noi ad appostarsi in diverse parti della Costa d'Ovada e tre pichetti furon fissati oltre i ponti nostri... e sono continuamente a nostro carico perciò da noi soli provisti d'ogni cosa... perciò vi invitiamo a soccorrerci... servendovi che questa sera se ne attendono altri diecimila. La notoria scarsezza del raccolto, li vitti incarati all'eccesso, il territorio posto nuovamente da dette truppe a sacco, le minaccie dello stesso gusto a noi di continuo fatte, crediamo vi daranno tutto l'impulso ad esaudirci.". Ed ancora, il 22 agosto: "...compiegata vi tramandiamo lettera della municipalità della Costa a noi diretta. Dal contenuto in essa comprenderete la necessità di far rittirare da quel povero luogo veritabilmente rovinato, certo corpo di truppe francesi collà tuttora esistenti, il quale perchè composto (forse bene) in la maggior parte di piemontesi ed altri fuorusciti, trattano quei sgraziati abbitanti come fossero nemici. Loro depredano il bestiame, il raccolto pendente del formentone e legumi e delle uve quantonque immature, con atterrarle persino le porte di casa ancor di notte tempo e darle il sacco. Il giorno 20 corr. di buon mattino ritornarono nuovamente ad occupare il nostro luogo le truppe austro-russe di cavalleria, e siamo perciò obbligati al di loro mantenimento come in passato. Oggi le dette truppe francesi tentando forse di venire in Ovada dalla parte verso Tagliolo, seguì fra esse truppe e gli Ussari un attacco dove rimasero feriti due ussari uno morto e dei francesi due priggionieri. Indi si ritirarono di nuovo alla montagna verso la villa della Costa e gli Ussari al loro posto. Li cosacchi in numero di 50 a cavallo partirono al dopo pranzo dell'istesso giorno del loro arrivo per quanto si dice diretti per Torino.".

Come abbiamo già detto in premessa, il nostro manoscritto si interrompe all'agosto 1799 e non riprende che nei primi mesi del 1800. La situazione in Ovada resta immutata: i Francesi che si tengono attestati sulle alture appenniniche circostanrti la Costa d'Ovada e a sud, verso Rossiglione; i presidiari piemontesi che hanno sostituito glil austro-russi che non occupano praticamente Ovada, ma la circondano tenendosi sulle colline della Roccagrimalda, di Cremolino e controllano la pianura da Silvano. Dalle lettere, che riprendono nel febbraio 1800, vediamo che il nostro borgo, pur trovandosi in una posizione che potremmo definire come terra di nessuno, riesce, non si sa come, a mantenere le sue relazioni con Genova alla quale fa ancora pervenire i suoi dispacci ed a riceverne. La municipalità, sciolta precedentemente dagli Austro-Russi, è sostituita da un'Amministrazione provvisoria che, oltre ad amministrare il borgo, deve barcamenarsi tra francesi e piemontesi. Non ci meraviglia dunque il trovare nel nostro epistolario lettere contemporanee inviate sia a Genova per evidenziare la situazione esistente e chiedere provvedimenti contro soprusi francesi e, nello stesso tempo, missive indirizzate al Maggiore Folda, comandante le truppe piemontesi in Acqui affinchè intervenga per fare cessare le incursioni e le razzie che i soldati piemontesi delle postazioni della Rocca e di Cremolino compiono quasi giornalmente nel territorio ovadese. Dobbiamo però dire che, pur in questa precaria situazione, l'amministrazione provvisoria di Ovada riesce a mantenere un certo ordine nel borgo.
La penuria del sale, provocata a quanto pare dall'incetta che ne fa un certo Nattini, 'stapolatore' (magazziniere) dei depositi di Voltri, viene risolta dall' Amministrazione facendo distribuire essa stessa il sale esistente in Ovada in base ai registri parrocchiali e razionandolo con la metà di mezza libbra a testa, che viene distribuita alle famiglie del Borgo di Dentro il Lunedì, a quelle del Borgo di Fuori il Martedì, alle famiglie di campagna il Mercoledì e a quella delle ville di Costa e S.Lorenzo il Giovedì. Da questa ripartizione possiamo così sapere che soltanto per i due borghi, le razioni distribuite ammontano a poco meno di 5000. Vengono in pari tempo denunciati diversi individui bottegai ritrovati a "vendere sale con le mastre.." (per mastra s'intende madia e vendere con le mastre viene inteso come vendita di sottobanco e, pertanto, di frodo). Di questi borsaneristi ante litteram abbiamo anche i nomi; essi sono: "Niccolosio Bavazzano colla sua moglie, Teresa Alloigi, Paola Soldi, Bartolomeo Soldi, Giuseppe Giangrande, Tomaso Canobbio, Gio e Catterina Grugoli e un certo Pesci detto il Camorino.". Circolano inoltre nel paese molte 'Cedole del Banco di Vienna', immesse sul mercato dalle truppe austriache, però queste cedole non vengono accettate in pagamento dagli 'Spalloni' e dai cavallari per le granaglie che essi trasportano in Ovada. Detti spalloni e cavallari, piuttosto che accettare le cedole suddette in pagamento, rinunciano a consegnare le loro merci con grave disagio dei compratori, dei mercanti e particolarmente della popolazione che non sa come rifornirsi.
Nel mese di marzo "...alcuni inquieti cittadini, certi fratelli Pesci detti Sacchetti e compagni, prevalendosi della mancanza di forza e delle circostanze, si fanno lecito qualunque attentato ed insolenza, fanno rumore per il paese con coltelli alla mano e minacciano armati di schioppo li buoni cittadini buttandoli chiusi in carcere e ritenendosi le chiavi della priggione senza che persona alcuna possa parlare... Ieri i francesi di Rossiglione hanno fermato in quel paese il sale speditoci, di cui siamo nella totale penuria e mancanza, ed anche dei bolotti di seta e delle cuoia. Questa novità ci amareggia altamente mentre ci vediamo aggiongere al blocco dei tedeschi quello dei francesi...".

La Municipalità di Ovada, rimessa in carica, ritorna a poter far valere la propria autorità e si appresta a riportare il paese alla calma ed alla normalità. Sarà un lavoro lento ma costante che noi possiamo seguire dalla corrispondenza. Non sarà certamente un compito facile per essa, che dovrà risolvere tanti gravi ed impellenti problemi quali il vettovagliamento della popolazione affamata ed esausta, l'ordine pubblico, la pacificazione, il rinsanguamento delle dissestate finanze, la profilassi dei cittadini contro le epidemie ricorrenti, la disinfestazione della città dalla sporcizia e dai parassiti lasciati dalle orde militari che vi hanno soggiornato in continuazione, il ripopolamento delle campagne abbandonate e tutti quegli altri impegni di carattere amministrativo che sono alla base di ogni buon governo. Dobbiamo dire che la Municipalità ovadese affronta con coraggio e decisione questi problemi e, piano piano, li risolve.
Una delle ultime lettere del fascicolo ci informa che nell'ottobre 1800 vengono impiantati in Ovada i primi lampioni ad olio per l'illuminazione pubblica; quest'iniziativa è frutto di una pubblica sottoscrizione.
Il fascicolo termina alla data del 22 dicembre 1800. Noi abbiamo voluto riportarne le parti più interessanti per un dovere che dobbiamo alla storia della nostra cittadina che, in quei tempi ormai dimenticati, protagonista di tante sofferenze e di tanti patimenti seppe, con la solerzia dei suoi reggitori, il lavoro e l'abnegazione dei suoi cittadini, risollevarsi e rifiorire.